Ettore bambino: uno scavezzacollo
1928
La strada della sua vita iniziò il 25 marzo del 1928 in una famiglia contadina di Roverbella, nella campagna mantovana.
Ettore bambino: uno scavezzacollo
Terminate le elementari, a dieci anni, fu mandato a Monzambano, presso certi lontani parenti che avevano bisogno di un ragazzo di stalla. Un lavoro molto faticoso per un bambino.
Può darsi che i suoi “padroni” gli volessero bene, ma Ettore non se ne accorgeva proprio. Pensava sempre alla sua casa, alla sua famiglia. Alla mamma in particolare. Le rare volte che poteva tornare dai genitori e dalle sorelline, era felice, si sentiva in un “posto caldo”, colmo di affetto. A Natale la mamma preparava un pranzo speciale. Cucinava un paio di polli, procurava i mandarini e, se poteva, qualche pezzo di torrone. Ed Ettore era contento, come tutti i bambini.
1928
L’adolescenza
Durante la guerra era ormai un adolescente, lavorava dove gli capitava: raccoglieva il fieno per le mucche.
L’adolescenza
Si assoggettava a qualsiasi fatica pur di guadagnare qualcosa. Era un tempo duro e doloroso, c’era fame e paura per tutti. Ne aveva ricordi precisi. Ma non era stato un periodo brutto solo per la guerra. Era stato orrendo anche per un’altra cosa. Aveva perso l’innocenza dell’infanzia ed era diventato uno scavezzacollo.
Aveva vissuto tanto tempo nelle stalle e aveva imparato a bestemmiare. Bestemmiava continuamente, era diventato quasi un intercalare. Gli amici avevano addirittura inventato un gioco: trenta bestemmie, trenta centesimi di premio.
Ripensandoci non sapeva immaginare quanto avesse potuto soffrirne la mamma che era tanto religiosa. Non aveva più voglia di pregare né di frequentare la chiesa. I genitori lo mandavano sempre al catechismo, ma lui preferiva stare con gli amici e le ragazze. Quando tornava a casa la mamma e il papà volevano sapere cosa gli avesse insegnato il prete e lui cercava di inventare qualcosa, ma i genitori se ne accorgevano e lo mandavano a letto senza cena…
La conversione
1945
Don Everardo Corvi, il parroco di Malavicina, organizzò, nell’ottobre del ’45, un pellegrinaggio al santuario della Madonna della Corona, agli Spiazzi di Caprino Veronese.
La conversione
Tutta la popolazione era stata invitata a trascorrere una giornata insieme in preghiera di ringraziamento. Avevo deciso, non so nemmeno perché, che vi avrei partecipato anch’io. Avevo diciassette anni. Ricordo ancora il viaggio in camion, tutti cantavano e pregavano.
Giunti davanti alla statua della Madonna il posto mi aveva molto colpito e avevo provato un’emozione strana, che non so spiegare…
So solo di aver seguito con devozione tutte le funzioni e verso sera, quando era ormai giunto il momento di ripartire, di aver sentito il desiderio irresistibile di rientrare in chiesa, di restare per un po’ solo davanti alla Madonna.
– Cara Mamma – avevo pregato quasi senza rendermene conto – tu conosci la mia vita disordinata, voglio cambiare, ma se tu non mi aiuti, sono sicuro che domani ricomincerò da capo – quel giorno ho cominciato una marcia che dura ormai da cinquant’anni”.
“… Mentre tentavo di essere coerente con la preghiera fatta davanti alla Vergine degli Spiazzi, il parroco mi aveva regalato un libricino intitolato: Pensaci bene, e avevo scoperto che Gesù aveva promesso a santa Maria Alacoque l’indulgenza plenaria a chi, in grazia di Dio e dopo essersi confessato,
avesse ricevuto regolarmente la Comunione, ogni primo venerdì del mese per nove mesi consecutivi. Per otto mesi ce la feci, difficile fu il mese di luglio. Dall’alba avevo lavorato con lena nella stalla. Poi, come al solito, avevo portato il mangiare ai maiali e pulito il porcile. Finalmente verso le undici, avevo finito e decisi di raggiungere il paese, dovevo percorrere quattro chilometri di un sentiero molto ripido e mi restava pochissimo tempo per arrivare alla chiesa prima che il sacerdote se ne andasse via.
Mentre di corsa scendevo lungo il viottolo, provai un forte dolore a un piede e mi accorsi di aver perso una suola dello scarpone. Per fortuna la ritrovai subito e con un filo di ferro riuscii a riattaccarla alla bell’e meglio. Ripresi a correre ma ero stremato, volendo infatti fare la Comunione, ero digiuno dalla mezzanotte e dopo la lunga corsa seguita a ore e ore di lavoro, mi pareva di non riuscire più a farcela. Quando finalmente giunsi al paese, le campane suonavano il mezzogiorno e il parroco era già rientrato in canonica. Rimasi molto male.
Recitai alcune preghiere e subito ripartii verso l’alpeggio.
Mentre risalivo incontrai un vecchio, vestito con una
tonaca nera con una croce rossa all’altezza del cuore. Sulle spalle portava un bidone di latta, se ne serviva per riporvi quanto riceveva in carità dai pastori delle baite della montagna. Mi fermai e gli raccontai la mia delusione per non aver potuto finire i miei nove venerdì del mese, fu molto paterno, mi consolò e mi salutò con una benedizione.
Era fratel Coser. Il primo Camilliano che avessi visto in vita mia“.
1945
1952
Entra nell’ordine dei Camilliani
1952
L’incontro con Fratel Coser fu così impattante che a 24 anni scelse di entrare nell’Ordine dei Camilliani, come Fratello Laico.
Entra nell’ordine dei Camilliani
Iniziò a servire nella comunità dell’Ospedale san Camillo agli Alberoni di Venezia dove rimase una ventina d’anni come infermiere al servizio dei bambini meno fortunati.
Il primo incarico come frate camilliano di Ettore fu la cura del refettorio nell’Ospedale San Camillo agli Alberoni di Venezia.
A turni di circa duecento persone alla volta, gli ospiti della casa elioterapica si radunavano nelle grandi mense dell’ospedale in attesa di essere serviti. Alle mense seguì la spiaggia: assistenza a quanti dovevano fare le sabbiature.
Poi venne mandato nei reparti. Dopo essere stato a lungo con gli invalidi, il superiore gli propose di sostituire un confratello tra i ragazzi distrofici: “… tra bambini e ragazzi raggomitolati su loro stessi, che mi interpellavano continuamente, talvolta innaturalmente allegri, altre volte disperati come solo i giovani sanno essere“.
Dopo venti anni di servizio agli Alberoni, il superiore gli propose di seguire a Milano un corso di infermiere generico. Fratel Ettore con la Fiat familiare acquistatagli dalla mamma per centomila lire in un cimitero delle auto andò su e giù, per molti mesi, da Venezia al capoluogo lombardo tre volte la settimana,
partendo al mattino e tornando alla sera: “Con diecimila lire di benzina la mia macchina faceva brillantemente i seicento chilometri dell’andata e ritorno”.
Fratel Ettore rimase per 25 anni al servizio dei piccoli malati dell’ospedale veneziano. Per loro diventò come un fratello maggiore, o qualcosa di più. A differenza degli altri, lui non si vergognava dei loro copri storpiati e sofferenti. Li trattava coma bambini normali, li portava al cinema, sul vaporetto, addirittura se li caricava in spalla per salire in cima al campanile di piazza san Marco.
Quando erano con lui, gli sguardi esterefatti delle persone non li imbarazzavano, anzi, li facevano sentire fieri.
“Con diecimila lire di benzina la mia macchina faceva brillantemente i seicento chilometri dell’andata e ritorno”.
Fratel Ettore rimase per 25 anni al servizio dei piccoli malati dell’ospedale veneziano. Per loro diventò come un fratello maggiore, o qualcosa di più. A differenza degli altri, lui non si vergognava dei loro copri storpiati e sofferenti. Li trattava coma bambini normali, li portava al cinema, sul vaporetto, addirittura se li caricava in spalla per salire in cima al campanile di piazza san Marco.
Premio della Bontà Giovanni XXIII
1973
Nel 1973, a 45 anni, ricevette il Premio della Bontà Giovanni XXIII
Premio della Bontà Giovanni XXIII
“Fratel Ettore Boschini con squisita bontà e sacrificio, nella sua preziosa opera di assistenza ai malati vede in ciascuno di loro il Cristo sofferente”.
Il Premio della Bontà, istituito subito dopo la morte di Giovanni XXIII e a lui intitolato, è stato dato quell’anno a un Fratello Camilliano, Ettore Boschini, che da oltre 20 anni si prodigava con dedizione ininterrotta ed esemplare alla cura di ragazzi malati, alcuni distrofici, ospitati presso l’Istituto san Camillo a Venezia-Alberoni.
La medaglia d’oro è stata conferita dal Sindaco di Venezia con questa motivazione ufficiale: “Conferimento premio della bontà Giovanni XXIII a Fratel Ettore Boschini religioso camilliano che con squisita bontà e sacrificio, nella sua preziosa opera di assistenza ai malati, seguendo l’indirizzo del suo Fondatore san Camillo de Lellis, vede in ogni ammalato il Cristo sofferente“.
1973
1976
Il trasferimento a Milano
1976
Dopo la chiamata per gli infermi a Venezia, nel 1975 viene trasferito a Milano dove riceve la seconda chiamata. Il suo posto è tra i poveri che non possiedono nulla al mondo.
Il trasferimento a Milano
Su invito dei superiori iniziò ad occuparsi della cura dei malati gravi a domicilio. Il suo andirivieni di casa in casa a tutte le ore del giorno e della notte lo mise in contatto con la varia umanità che frequentava le strade meno battute della città. Per fratel Ettore tutte quelle persone buttate sopra un cartone, quei disperati attaccati alla bottiglia, quegli uomini con le gambe in cancrena lasciati da soli a morire erano segno di uno scandalo inaccettabile.
Testardamente, decise che sarebbe stato lui ad occuparsi di loro. “Se i malati più gravi, qui a Milano, li lasciano sui marciapiedi, allora la strada sarà la mia nuova corsia di ospedale”.
Iniziò affiancando un anziano confratello che distribuiva pasti e vestiti nella portineria accanto al santuario di San Camillo, in via Boscovich. Coinvolse da subito Sabatino, un giovane fattorino venuto dal Sud in cerca di lavoro, che divenne il suo primo aiutante. Ben presto si resero conto che quel servizio, seppure meritevole, era insufficiente: i poveri scambiavano il cibo con i cartoni di vino e mettevano i vestiti puliti su corpi sporchi e piagati.
Bisognava fare un salto in avanti nel modo di assistere i poveri, a fratel Ettore non restava che inventarsi come. Per aiutare sul serio quelle persone così fragili sarebbe stato necessario prenderle con sé, trattarle come familiari, averle vicino giorno e notte. Fratel Ettore amava ripetere: “Se vedessi per strada tua madre o tuo fratello cosa faresti? Gli daresti i soldi per un panino o lo porteresti con te, a casa tua?” Ecco cosa serviva: una grande casa per i poveri.
“Rifugio amici del cuore immacolato di Maria”
1979
Nella notte di Natale si inaugurò il “Rifugio amici del cuore immacolato di Maria”, la cattedrale di fratel Ettore, in via Sammartini a Milano.
Negli anni insieme ai volontari aprirà dormitori, mense, dispensari, pronta accoglienza a Milano, Seveso, Bucchianico, Grottaferrata e Bogotà.
“Rifugio amici del cuore immacolato di Maria”
Fratel Ettore si mise alla ricerca di uno spazio adatto alle sue esigenze guadagnando, ovviamente, molti rifiuti. Un giorno, durante una delle sue visite ai disperati delle sale di attesa della stazione Centrale, si fece avanti il capostazione Venturelli: “Avremmo uno spazio, ma mi vergogno ad offrirglielo per delle persone”. Venturelli accompagnò il frate in fondo a via Sammartini: gli mostrò due grandi magazzini, due buie arcate di ponte sotto ai binari.
A fratel Ettore non sembrava vero, si mise a saltare per la gioia e a ringraziare il suo benefattore. Per sicurezza mise davanti alla saracinesca un’immagine di san Camillo e una della Madonna, come un segnaposto santo.
I magazzini furono presto svuotati, puliti, imbiancati. Qualcuno donò dei divani che diventarono dei letti, qualcuno regalò dei bidoni che si trasformarono in sedie.
La nascita del Rifugio del Cuore Immacolato di Maria nel ricordo dell’ex sindaco di Milano Gabriele Albertini:
“I milanesi seppero che il frate camilliano voleva aprire un rifugio per gli emarginati sotto il cavalcavia ferroviario della Stazione Centrale in via Sammartini, e pensarono che posto più squallido non poteva trovarlo, ma proprio la campata sotterranea del ponte è diventata la cattedrale di fratel Ettore.
Proprio lì, nel 1987, partecipai in incognito alla Messa celebrata davanti a credenti e non credenti di tutte le razze accomunati dalla miseria e dalla disperazione. L’altare era il tavolo della mensa e le panche i cartoni sistemati per terra. Come pulpito fratel Ettore salì su una sedia e rivolto a quella platea di fedeli disse loro di pregare tutti assieme per le intenzioni di una persona che in quel momento era in mezzo a loro, anonima come loro, ma che ricopriva alte responsabilità per la città di Milano. Fu un momento di forte intensità spirituale il cui ricordo ancora oggi mi pervade lasciandomi intuire il misticismo di questo religioso.”
1979
1983
Fratel Ettore getta le fondamenta di Casa Betania, a Seveso.
1983
Il primo edificio a vedere la luce è la ricostruzione del santuario della Madonna di Fatima.
Fratel Ettore getta le fondamenta di Casa Betania, a Seveso.
Gli uomini accolti al Rifugio di Milano collaborano ai lavori.
Sono stato a Fatima, alla cappella delle apparizioni e mi sembrava di essere a Seveso”: così si è sentito dire da un pellegrino fratel Ettore, il camilliano che assiste gli emarginati della Stazione Centrale di Milano e che a Seveso, in corso Isonzo, ha aperto la “Casa Betania”, attualmente uno dei cinque luoghi di accoglienza e assistenza dell’opera fondata dallo stesso fratel Ettore, l’associazione degli Amici del Cuore Immacolato di Maria al servizio dei più poveri nello spirito di San Camillo”.
A Seveso, davanti alla “Casa Betania”, c’è infatti un nuovo santuario, riproduzione, sia pure in scala leggermente ridotta, di quello di Fatima.
“A Fatima – spiega fratel Ettore – ogni lato della cappella è di 30 metri, qui, a Seveso, è di 24 metri”.
Questo nuovo santuario è stato progettato dagli architetti Oreste Mariani e Roberta Paiella sulla scorta dei disegni dei progettisti di Fatima. “La proposta – dice fratel Ettore – era di riprodurre tale e quale la cappella di Fatima”.
Il nuovo santuario sorge nella zona resa tristemente famosa dalla diossina , a circa 300 metri in linea d’aria dallo stabilimento dell’Icmesa.
Di fronte, al di là di Corso Isonzo, ci sono alcune case.
In una di queste abita la signora Pinuccia Ottolini Parravicini.
La sua testimonianza è toccante: “Io sono stata evacuata, sono stata via da casa un anno: ho visto questa zona prima dello scoppio all’Icmesa e al rientro. Ora se mi affaccio dall’altra parte della casa vedo i lavori che vengono fatti per la bonifica e non è mai finita.
Di qua vedo Fratel Ettore che dal niente ha costruito la cappella.
Vedo questa cappella, questa comunità come un segno grande per Seveso.
Il santuario di Seveso è stato anche un modo per far lavorare gli emarginati accolti nella “Casa Betania” e recuperarli ad una dimensione di dignità umana.
Carla Rocca, sorella di Francesco sindaco di Seveso al tempo dello scoppio all’Icmesa ne è testimone: “Con lo sforzo – non solo di dar da mangiare, ma anche di farli lavorare, fratel Ettore ha aiutato questi emarginati a mettersi in equilibrio. Io ho visto delle persone portate fuori dal Trivulzio, da altri ospedali, conciate, non avevano voglia di lavorare: è stato faticoso nei primi tempi, ma adesso hanno smesso di bere, hanno lavorato, lavorano, riprendono la vita.
“Questo santuario è un bene anche per questo”.
Ma perché questo santuario, riproduzione della Cappella delle Apparizioni di Fatima, qui a Seveso? prima dello scoppio all’Icmesa e al rientro.
Ora se mi affaccio dall’altra parte della casa vedo i lavori che vengono fatti per la bonifica e non è mai finita. Di qua vedo Fratel Ettore che dal niente ha costruito la cappella.
Vedo questa cappella, questa comunità come un segno grande per Seveso.
Il santuario di Seveso è stato anche un modo per far lavorare gli emarginati accolti nella “Casa Betania” e recuperarli ad una dimensione di dignità umana.
Carla Rocca, sorella di Francesco sindaco di Seveso al tempo dello scoppio Risponde fratel Ettore “Non lo so neppure dire il perché. Non lo spiegare umanamente. Sembrava un sogno, forse per qualcuno una pazzia.
A Fatima la cappellina è ancora quella di sessant’anni fa, mentre la struttura che la contiene come un’urna, uno scrigno con le pareti di vetro. La Cappella delle Apparizioni qui a Seveso è il segno di una grazia ricevuta”.
“Penso che la Madonna – prosegue fratel Ettore – la Provvidenza, abbia voluto questo segno qui per richiamare l’attenzione di tutto il mondo ad una realtà di vita”.
“Seveso, diossina, riproduzione del santuario di Fatima con una realtà vissuta di emarginati, di poveri che sono costantemente seguiti giorno e notte.
Seveso richiama, con il ricordo della diossina, ad una realtà di morte e gli unici a morire sono stati i bambini tolti dal grembo della madre con la paura che nascessero deformi.
Questo Santuario è una realtà di vita. Questo segno richiama le apparizioni di Fatima, il Cuore Immacolato di Maria per la pace nel mondo, per la salvezza di ogni uomo.
Ora è una realtà che noi viviamo al punto di far diventare tutte le 24 ore della giornata ore di preghiera.
La Messa, le lodi al mattino, il Rosario a mezzogiorno, l’ora media, i vesperi, compieta: quatto ore di preghiera.
Le altre venti ore restano per tutti gli altri servizi, per il riposo, per il cibo, per il lavoro.”
Questo santuario di Seveso è segno di una grazia ricevuta: la sospensione dello sfratto degli emarginati dal rifugio della Stazione Centrale in via Sammartini 114, il primo dei rifugi aperti da fratel Ettore.
Il racconto di fratel Ettore al proposito è quanto mai significativo. “Tutto è nato il 13 agosto 1980 con la nostra quarta marcia per la Pace a Milano.
Non avevamo altro scopo – ricorda Fratel Ettore – dicevamo preghiere alla Madonna Regina della Pace, Regina della Vita.
Portavamo dei cartelli alcuni richiamavano l’attenzione alla tragedia dell’aborto, alla morte di Luther King, di Kennedy.
Venne pubblicata una foto sul Corriere della Sera; il titolo diceva che Frate Ettore con i suoi poveri aveva marciato per le vie di Milano in favore della vita, contro l’aborto.
Quando è avvenuto lo sfratto e quando è venuto l’invito a non fare la sesta marcia, il 13 ottobre, allora ho capito che il problema non era il rifugio, ma la marcia vista da qualcuno come una marcia contro l’aborto. Le marce erano iniziate in maggio, il 13 di ogni mese e a ottobre pensavamo di andare a Fatima.
“Ma a Fatima – ci è stato detto – potete andare quando e come volete”. A Fatima fratel Ettore e alcuni dei suoi poveri hanno invocato la grazia della sospensione dello sfratto, l’acquisto della casa di Seveso.
“Lo sfratto da via Sammartini venne sospeso e nel giro di venti minuti al telefono si risolse il problema della casa di Seveso”, dove il proprietario, conclusa la vicenda della evacuazione seguita allo scoppio dell’Icmesa, aveva voluto allestire una cappellina dedicata alla madonna di Fatima.
Il tempio che ora sorge in Corso Isonzo, 90 era auspicato – afferma don Angelo Mutti coadiutore della parrocchia dei santi Gervaso e Protaso – “non soltanto dalle popolazioni della zona, ma da tutta la parrocchia di Seveso a ricordo dell’avvenimento della diossina”.
Per don Riccardo Pezzoni, ora prevosto di Varese, che nella sua qualità di direttore della Caritas Ambrosiana ha conosciuto Fratel Ettore sin dall’inizio della sua attività a favore degli emarginati della Stazione Centrale, il santuario di Seveso è un “segno straordinario collegato alla straordinarietà della emarginazione”.
“Personalmente – ha detto don Pezzoni – io rimango stupito come si rimane stupiti sempre di fronte ai gesti di Dio”.
E per don Giovanni Venturelli, cappellano dell’ospedale di Crema, questo santuario di Seveso dedicato alla madonna di Fatima è “un pronto soccorso spirituale”.
I posti disponibili al Rifugio diventano 60.
1988
Nello stesso anno viene inaugurato il Villaggio della Misericordia di Affori (MI), dove sono accolte persone malate a cui non basta il ricovero notturno, in particolare malati di Aids.
1988
1990
E’ necessario far fronte ai nuovi flussi migratori
1990
in particolare dall’Albania e dal nord Africa: i posti letto diventano 79. L’emergenza continua a farsi sempre più drammatica nel corso del decennio.
Anche il Villaggio della Misericordia di Affori viene destinato all’accoglienza notturna.
1998
I suoi 112 posti letto si sommano agli 84 del Rifugio. La struttura di Affori servirà, negli anni successivi, a far fronte a diverse emergenze come l’accoglienza delle donne ucraine o degli ex detenuti scarcerati per l’indulto.
1998
2006
Chiusura temporanea del rifugio
2006
Il Rifugio chiude temporaneamente per lavori di adeguamento dell’impianto elettrico. Quando riapre i posti disponibili sono 40.
Il Rifugio viene chiuso per gravi problemi strutturali
2009
Il Rifugio viene chiuso per gravi problemi strutturali che lo rendono ormai inadatto all’accoglienza (infiltrazioni d’acqua, impianto idraulico inadeguato…) I malati ospitati ad Affori vengono trasferiti a Casa Betania, in questo modo il Villaggio della Misericordia può sostituire il Rifugio di via Sammartini dando accoglienza notturna ai senza-tetto. I posti letto al Villaggio vengono aumentati gradualmente: passano dai 22 iniziali, a 44 nel mese di ottobre, a 59 nel mese di novembre, a 96 nel mese di dicembre.
2009
Oggi
La situazione attuale
Attualmente il Villaggio della Misericordia di Affori, alle porte di Milano, svolge il ruolo di prima accoglienza notturna che è stato per 30 anni ricoperto dal Rifugio di via Sammartini.
20 agosto 2004 muore a Milano nella clinica camilliana “San Pio X”.
2004
Fratel Ettore Boschini morì il 20 agosto 2004 a Milano, all’età di 76 anni.
20 agosto 2004 muore a Milano nella clinica camilliana “San Pio X”.
La sua opera, l’Opera Fratel Ettore, ha aperto numerosi rifugi in Italia e nel mondo per offrire accoglienza a senzatetto, tossicodipendenti, alcolisti e persone in gravi difficoltà.
Fratel Ettore dedicò la sua vita all’assistenza dei malati e degli emarginati, offrendo loro cure fisiche e spirituali con infinita dedizione e amore.
Nonostante la sua fama e il suo ruolo importante, Fratel Ettore rimase sempre una persona umile e semplice non cercava alcun riconoscimento per il suo lavoro, ma si concentrava solo sul fare del bene agli altri.
Ancora oggi è ricordato per la sua instancabile dedizione al prossimo e per la sua profonda fede.
2004
2006
Apertura della sua causa di beatificazione
2006
che si trova attualmente nella fase diocesana (conclusa).
Apertura della sua causa di beatificazione
19 Dicembre 2017 apertura fase diocesana istruttoria causa di beatificazione fratel Ettore.
25 Novembre 2023 chiusura fase diocesana istruttoria causa di beatificazione. Tutte la carte partono per Roma assieme al nuovo postulatore, la diocesi di Milano conserva una copia della documentazione.
2 Febbraio 2024 a Roma iniziano a esaminare la documentazione portata da Milano. E’ una data significativa perchè è la festa della Presentazione al Tempio di Gesù. Tradizionalmente in quella giornata si festeggiano anche i consacrati e le consacrate. Inoltre è il giorno della conversione di san Camillo, al quale fratel Ettore era molto devoto.