Siamo una Comunità particolare,creata nel tempo.
La nostra storia inizia con Fratel Ettore nel 1979, con una fede grande e caparbia, mettendo assieme una moltitudine di persone povere tolte dalla strada, che potessero pregare congiuntamente – non importa di che religione fossero, quale fosse la loro storia, che cosa avessero fatto della loro vita, erano povere, bisognose, malate, e questo bastava – e cercandone poi altre che potessero continuare quella particolare modalità di accoglienza che aveva iniziato.
Oggi 40 ospiti formano la comunità in modo stabile, 150 persone sono accolte nel nostro dormitorio maschile e femminile ed aiutiamo con beni di prima necessità una ventina di famiglie in difficoltà.
Ci sono dunque gli ospiti (che vivono qui stabilmente), alcuni volontari, due uomini e due donne stipendiate, e poi 3 sorelle: sorella Teresa, sorella Ester e sorella Laura che hanno fatto una scelta di vita – o forse una scommessa – attratte dai poveri, dal servizio, dalla preghiera, dalla povertà, dall’abbandono alla Provvidenza, da uno stile di vita comunitario.
Sorella Teresa Martino
fino a metà degli anni ’80 era una delle realtà più belle del nuovo teatro italiano, ma di colpo mollò tutto.
Dall’oggi al domani Moliere, Goldoni, Pirandello e naturalmente Shakespeare, il preferito, che riempivano le sue giornate di attrice, d’un tratto non bastarono più a colmare quel vuoto fatto di insoddisfazione totale: mille domande e nessuna risposta.
Trascorse un lungo periodo di riflessione e silenzio che sbocciò nella sua conversione.
Studiò teologia, era il 1986, si coinvolse attivamente nel movimento del Rinnovamento nello Spirito lavorando per un periodo nella Rivista dello stesso.
Nel frattempo, affiancata da un padre spirituale nel suo percorso di fede, maturò la scelta di pronunciare dei voti privati per una vita casta, sobria e di obbedienza al Vangelo, era l’anno 1992.
L'incontro con Fratel Ettore
Nel 1994 incontrò Fratel Ettore in Abruzzo e ne rimase fortemente colpita, tanto da andare a Milano per conoscere da vicino il suo operato.
Da quel momento, conquistata dalla radicalità di quell’uomo di fede, decide di restare al suo fianco e aiutarlo nell’opera di accoglienza dei poveri più poveri.
Sarà al suo fianco per dieci anni fino alla morte del Camilliano avvenuta il 20 agosto del 2004. Prima di morire Fratel Ettore la designò quale erede materiale e spirituale della sua Opera.
La nostra comunità
A una settimana dalla morte di Fratel Ettore, si presentarono a Sorella Teresa Ester Radaelli e Laura Lazzarini.
L’una che viveva a Senago e studiava lettere alla Cattolica e aveva conosciuto l’Opera accompagnando un suo amico desideroso di praticarvi volontariato.
Ester aveva conosciuto Fratel Ettore quando ancora era in vita.
L’altra, Laura, viveva a Bagnolo S.Vito (MN) e lavorava come educatrice in una comunità minori, conobbe l’Opera tramite due volontarie incontrate ad un ritiro di preghiera (Angolo Terme).
Entrambe, all’unisono e come sospinte dal vento della provvidenza, decisedo di restare a vivere con sorella Teresa e i poveri.
A tutt’oggi, con sorella Teresa, sono loro tre che portano avanti le case e le relative attività dell’Opera Fratel Ettore.
Chi Siamo
Sorella Teresa
Negli anni trascorsi dalla morte di Fratel Ettore ho continuato a rielaborare quel che avevo vissuto al suo fianco. Era inevitabile perché per me Fratel Ettore è stato un Maestro di vita, oltre che un Fratello e un Amico. Un gigante della carità diceva Carlo Maria Martini, una pagina di Vangelo dice Mario Delpini. Amo pensare che lui abbia fatto in modo che non rimanessi sola e a questo proposito vi racconto il sogno che ho fatto qualche settimana prima della sua morte: è notte sono in mare aperto, sono su una barca, una specie di battello, il mare è mosso, anzi tempestoso, ma il battello corre veloce sull’acqua; io sto parlando con due ragazze, una alta e magra che mi ascolta seria, l’altra appena più bassa e grassottella, ha i capelli ricci e piange per l’emozione.
Una settimana dopo la morte di fratel Ettore due ragazze, Ester e Laura, decidono di voler vivere con i poveri e fermarsi con me a Casa Betania. Un giorno stavo parlando con loro e una ascoltava seria mentre l’altra tratteneva a stento la commozione, ed erano proprio come nel sogno: una alta e magra, l’altra un po’ più bassa e grassottella con i capelli ricci. Mentre parlo a un certo punto mi blocco e la sensazione di déjà-vu mi fa gridare: “Oddio ma io vi ho viste, vi ho sognate, è tutto uguale solo che nel sogno filavamo su un mare in tempesta sopra una barca. Andiamo a farci una foto sulla tomba di fratel Ettore!” La tomba di Fratel Ettore ha la forma di una barca.
“Ma la tua provvidenza, o Padre, la pilota,
perché tu tracciasti un cammino anche nel mare
e un sentiero sicuro anche fra le onde,
mostrando che puoi salvare da tutto,
sì che uno possa imbarcarsi anche senza esperienza.
(Sap 14,3-4)
…e noi tre avevamo tutto da imparare. All’inizio adottai varie soluzioni per dare ad Ester e Laura il tempo di crescere e capire dove si trovassero; all’epoca avevano 24 e 25 anni ed io mi sentivo terribilmente inadeguata a fornire loro una buona formazione. In verità fu proprio attraversare quella inadeguatezza che mi fece comprendere quanto fosse importante valorizzare quel che già eravamo e avevamo. Quando sono debole, è allora che sono forte (2Cor 12): questa è una verità che non va mai sottovalutata, perché è proprio il riconoscersi poveri che permette al Signore di venire in nostro soccorso. Ciò che da sempre avevo considerato irrinunciabile era che Ester, Laura ed io facessimo comunità e pensavo che fare comunità significasse stare il più possibile insieme. Poi la comprensione della nostra vita comunitaria è maturata in un essere in comunione, che non consiste nel fare le stesse cose allo stesso tempo e nello stesso luogo, ma nel perseguire gli stessi fini, con gli stessi mezzi ed uno stesso stile, curando la preghiera, il dialogo, la crescita personale, la stima e la valorizzazione dell’altra. Accettare la realtà ha significato fare verità, darci una identità, darla all’Opera e valorizzare i nostri Ospiti. Una delle cose fondanti è stato aver accettato di essere soltanto in tre come un valore e non una menomazione, perché essere tre significa essere povere. Questo ci ha permesso di vedere i poveri non solo come persone da accogliere e aiutare, ma anche come compagni di cammino. Amici li chiamava Fratel Ettore.
Sorella Ester
Per me non è stata la fede a farmi avvicinare ai poveri anzi se avessi badato alla mia poca fede non avrei osato tanto! Non mi ero mai chiesta se nel povero c’era Gesù, non pensavo che fare del bene mi avrebbe meritato il Paradiso e per giunta avevo anche molte cose da ordinare dentro di me. La Sacra Scrittura dice che “Imparò l’obbedienza dalle cose che patì”. Ed io è nel dolore che sono cresciuta. Per via dei miei problemi di salute, nei momenti duri della mia infanzia e adolescenza, più che di incontro con Dio sarebbe meglio parlare di scontro. Il mio rapporto con Lui oscillava tra il devoto e la rabbia (sarà una espressione troppo forte? Forse). Mi ritrovavo sempre a vivere situazioni non scelte, non capite, diverse da quelle dei miei coetanei. Non mi è stato risparmiato niente. Ospedali visti: abbastanza. Malati? Tanti. Giovani malati: anche. Consultori: file a non finire. Però fin da piccola, ho sempre avuto nel cuore il desiderio di aiutare gli altri, i più malati, quelli che sono soli. Non necessariamente poveri in quanto a soldi, ma bisognosi. Avevo una sensibilità e un modo di intuire che mi hanno portato ad accogliere quel desiderio che mi portavo dentro senza pensare se fosse mio o di Dio. Sapevo che era un desiderio gratuito che mi appagava, non cercavo niente in cambio. Iniziai a frequentare Casa Betania con questo buon proposito di gratuità che non mi ha mai abbandonato. Un giorno in chiesa i poveri ben ordinati, con mio stupore, stavano recitando le Lodi. Con loro imparai a pregare i salmi e da lì a poco iniziarono i miei dialoghi con il Signore e cominciai anche a parlare di fede con i miei amici.
Ero avvantaggiata perché a Casa Betania è facile vedere Dio! Il mio compito era quello di affiancare Lorenzo il portinaio. Erano molti i benefattori che arrivavano al cancello ed io aiutavo Lorenzo a ricevere le tante donazioni di vestiti e di alimentari e a portarle al capanno o in cucina. Era la prima volta che vedevo la Provvidenza di Dio vestire e sfamare i poveri e questa era così sovrabbondante da poterne distribuire ad altri, proprio come spiega il vangelo nell’episodio della moltiplicazione dei pani. Mi sembrava così straordinario tutto quello che si svolgeva sotto i miei occhi ed era così evidente che Dio si stesse prendendo cura di quei poveri che non potevo più dubitare che lui di certo si prendeva cura anche di me!
Avrei potuto tirarmi indietro, far finta di non vedere, o anche non avere più voglia di vedere, sarebbe stato umanamente comprensibile farlo. Invece, per grazia, la mia vita ha preso tutta un’altra piega e ora per fede mi ritrovo ad essere quel Cireneo che aiuta Cristo a portare la croce e, come posso, ad essere presente nelle sofferenze e nelle fatiche di questi suoi figli e figlie.
Sorella Laura
Da quando avevo 15 anni sapevo che la mia strada non sarebbe stata quella del matrimonio: la mia strada era la consacrazione a Dio e ai poveri, però ne avevo paura. Dieci anni dopo, con l’aiuto della Madonna, di un sacerdote e dei miei amici, il mio cuore si è reso disponibile all’accettazione di quello che già sapeva. Dio non mi ha forzato a fare qualcosa di diverso da quello che già era scritto dentro di me, ma me lo ha svelato dandomi contemporaneamente la certezza che comunque avessi risposto il suo amore per me sarebbe rimasto uguale. Non è che si offendeva o si arrabbiava se dicevo di no, solo sarei stata infelice e avrei reso infelici altre persone. Quando sono entrata in Comunità, a 25 anni, vivevo con la mia famiglia, avevo un lavoro, un gruppo di amici affiatati coi quali condividevo la fede, ma mi mancava un compimento e sapevo che questo avviene solo nella donazione totale di sé, per quanto graduale e imperfetta possa essere.
L’incontro con la Comunità è stata la scintilla che mi ha fatto innamorare e l’innamoramento è una cosa seria, una forza che ti tira fuori, ti spinge e ti catapulta oltre muri altissimi che sembrano invalicabili.
Nei poveri ho visto proprio Cristo. Del suo Corpo che adoravo nell’Eucarestia ora potevo averne cura nei poveri e adesso mi sembra impossibile vivere l’una senza gli altri… Siamo una Comunità. I poveri sono le persone con cui vivo, di cui mi prendo cura e dalle quali sono anche curata. Gli occhi per vedere e “sentire” le necessità di questa tipologia specifica di persone mi si sono aperti all’improvviso ed è stato come concepire. Capisci che è successo qualcosa che non è dipeso da te, ma sta a te accoglierlo, farlo crescere, nutrirlo…
“Voi stessi date loro da mangiare”. Queste parole di Gesù da alcuni anni risuonano sempre più forte dentro di me: dare sé stessi da mangiare agli altri pur consapevoli del poco e limitato che siamo, ma non c’è niente da fare, è quello che Gesù vuole…
Essere una Comunità significa sentire di far parte di un unico corpo, quello di Cristo. La Comunità è una cellula, un prototipo, un campione di quello che dovrebbe essere tutta la società. Tutta l’umanità deve diventare una Comunità dove l’uno ha cura dell’altro…