Tutto quello che sono oggi, lo devo ad un cataclisma che ha squarciato la mia vita e distrutto tutto quello che avevo costruito. La mia vita oggi è ricca di umanità e di amore e se intorno a me vedo un bel paesaggio, è merito di quel terremoto che ne ha prima stravolto e poi modificato il panorama.
Quante vite sono state pesantemente segnate dal divieto, intimidatorio, di seguire il proprio desiderio . Nessuno è stato educato ad ascoltare sé stesso e il desiderio è bollato come peccaminoso, specie quello femminile. Gesù ha legittimato i nostri desideri (leggi: ambizioni, sogni, aspirazioni).
Lo choc dei miei genitori fu che a 17 anni ebbi il coraggio di impormi e feci l’esame di ammissione all’Accademia d’Arte Drammatica Silvio D’Amico di Roma. Finché potevano chiedersi sorridendo da chi avessi preso e come mai una ragazzina di 10 anni non giocasse con le bambole, non sognasse il principe azzurro e la sua aspirazione da grande non era sposarsi, ma fare teatro, andava tutto bene perché poi il tempo avrebbe riportato il vivace ruscello delle fantasie infantili nell’alveo sicuro delle consuetudini femminili della provincia italiana degli anni 60’. La mia ex compagna di scuola, Maria Grazia, ridendo mi ha ricordato che a quattordici anni eravamo segnate a dito come ragazze sfrontate: le prime nella nostra cittadina ad indossare i pantaloni. Me li ricordo ancora i miei: erano di velluto azzurro a costine.
Certo un piccolo esempio di altri tempi, ma suscita riflessioni. Il non vedere legittimati i tuoi desideri, anzi percepirli come innaturali, o alla meglio sfrontati, ha come conseguenza quel timore latente e pervicace di essere sbagliata. Paura di esporti, di sostenere le tue idee, sentirti sempre inadeguata. Paura di te stessa che ti viene propinata quotidianamente a lento e costante rilascio. È un po’ come una malattia autoimmune.
Ricordo un giorno della mia nuova vita, dopo la conversione, i primi tempi dopo il cataclisma che la trasformò: camminavo per strada ed ebbi forte la percezione di essere stata messa a nudo, mi sentii terribilmente povera, ridotta all’osso, per così dire. La cosa sorprendente fu che questo, invece di spaventarmi, mi fece sentire amata per quello che ero e mi commossi. Rivolsi al Signore la preghiera di poter incontrare altre donne che avessero avuto un’esperienza simile alla mia…
Parlo dell’esperienza della fiducia, del decidere di ascoltarsi e legittimare i propri desideri, dell’esperienza di diventare persona, dell’apertura ad una vita bella e buona, una vita piena che solo Gesù insegna e dona. L’abbandono della carriera artistica per me non è stata una rinuncia, ma un’evoluzione, non è stato abbandono del lavoro intellettuale, ma anzi il suo approfondimento. Credo davvero che lo scopo della vita sia l’illuminazione, come spiega bene Jhon Main e la mia conversione è stata un decisivo primo passo verso quello scopo e dunque verso la realizzazione.
Poi per me c’è stata l’esperienza del silenzio da dove sorgono le risposte e il comprendere che a Vivere, cioè ad Amare, ci si riesce solo per tentativi, provando, sbagliando e riprovando ancora, in una situazione di continua provvisorietà e povertà interiore. Il Signore non vuole che si abbia paura della vita, ma che le si vada incontro con le braccia aperte perché vuole che ne abbiamo in abbondanza. Questa situazione di libertà e di coraggio affina la percezione di come stai vivendo e degli errori che vivendo compi, è una nuova consapevolezza che accresce il desiderio di rimediare e di perdonare e di essere perdonata.
La realizzazione non è più una mèta che ti sei prefissata o che altri ti hanno indicato, ma il tuo percorso di identificazione. Non c’è nulla di preconfezionato, solo il cammino che compi verso la pienezza e l’abbondanza della vita.
L’incontro con Gesù, in particolare con Gesù discriminato, emarginato, oppresso, disprezzato, è stato illuminante. Lui come migliaia di donne oppresse e discriminate nella loro inviolabile dignità di creature libere di autodeterminarsi, con la sua parola illumina le tenebre di ignoranza che ci avvolgono. Gesù mi ha pervasa di una ineffabile gratitudine ed io sono come la donna del profumo (Lc 7, 36-50), la mia gratitudine non poteva che essere espressa con un’azione d’Amore: lei con un profumo, io donandomi ai più poveri.